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Non solo Prosecco biologico: vitigni resistenti? La nostra prima vendemmia si avvicina!

Correva l’anno 2016 e io piantavo il mio primo ettaro di Sauvignon della varietà Kretos (eh già, non coltivo solo Prosecco Biologico!), uno dei famosi vitigni resistenti di cui ultimamente hai sicuramente sentito parlare.
Non dirmi che non ricordi cosa sono i vigneti resistenti!

Facciamo un passo indietro: cosa sono i vitigni resistenti?

I vitigni resistenti sono quei particolari tipi di vitigni che non necessitano di alcun trattamento, perché già naturalmente resistenti agli attacchi da parte di insetti e funghi.

Inoltre, essi hanno anche la capacità di resistere maggiormente agli odierni cambiamenti climatici, come ad esempio le gelate invernali, che spesso sono un’altra causa di devastazione dei vigneti.

Devo proprio ricordare gli immensi danni alla viticoltura europea causati dal freddo lo scorso anno?

 

Vigneti capaci di resistere da soli all’attacco dei parassiti? Una storia lunga 200 anni!

Da quando esiste la coltivazione della vite l’essere umano ha sempre cercato di combattere in tutti i modi l’attacco dei parassiti alle piante. Lo ha fatto non soltanto attraverso l’utilizzo di sostanze come repellenti e anti parassitari, ma anche modificando la natura stessa della vite, in modo da renderla più forte e permetterle di potersi difendere “da sola”.

Un esempio?

Il vino che generalmente bevi deriva dalla pianta Vitis vinifera (la vite europea), esistono però numerose altre specie che vengono utilizzate come viti da vino o come portinnesti.

Mi spiego meglio.

Attorno al 1800 un’invasione della fillossera colpì la Vitis vinifera e il fenomeno fu così grave che la viticoltura europea rischiò quasi di estinguersi!

I vigneti furono distrutti e questo causò ingenti danni economici e sociali. Fu così che a qualcuno venne la brillante idea di impiantare (o meglio, innestare) le nostre viti su ceppi americani, resistenti a quel devastante insetto.

Dalla fine del 1800 ad oggi molta strada è stata fatta e l’idea straordinaria del portinnesto, ovvero l’idea di permettere alla vite di potersi difendere da sola ha continuato a germogliare nella mente dei ricercatori.

Il risultato finale di questo percorso sono i cosiddetti vitigni resistenti.

 

Vitigni resistenti: biologico 2.0

Capire i vitigni resistenti significa riuscire ad analizzare il problema della difesa dei parassiti partendo da un punto di vista diametralmente opposto rispetto al pensiero comune:

Perchè indebolire la vita degli insetti (dannosi e non) attraverso l’uso massiccio di pesticidi quando si può rafforzare quella della vite stessa?

Diciamolo, inizialmente le qualità enologiche prodotte a partire da questi nuovi vitigni non erano delle migliori, ma grazie alle tante prove sviluppate, siamo riusciti a progredire moltissimo sotto l’aspetto qualitativo, lasciando comunque inalterata la resistenza delle piante alle malattie e alle condizioni climatiche avverse.

Ci tengo a precisare che in queste piante non ci sono inserimenti di geni estranei, ma “semplicemente” si fanno esprimere, attraverso dei semplici incroci, geni già esistenti.

In questo modo si può infatti ottenere una super pianta (e NO, non sto parlando di OGM che, tra le altre cose, sarebbero comunque vietati all’interno dell’UE).

Mi spiace sentire qualcuno lamentarsi a priori dell’utilizzo della genetica in agricoltura. Io non credo che  queste tecniche siano una forma di violenza sulla natura. Dopotutto, l’evoluzione genetica esiste da millenni anche nella nostra stessa evoluzione.

Io credo che le varietà di  viti resistenti siano il futuro: il biologico 2.0.

 

La situazione in Italia

Dopo 15 anni di ricerche dell’ateneo di Udine e dell’istituto di genomica applicata (IGA), centinaia di incroci e migliaia di piante valutate, sono stati registrati i primi 10 vitigni resistenti.

Le prime due regioni italiane autorizzate a coltivare queste nuove varietà sono il Friuli Venezia Giulia ed il Veneto, anche se purtroppo ancora non è possibile produrre vini a denominazione con uve resistenti. Speriamo che in futuro anche l’Italia prenda spunto da Germania, in Repubblica Ceca e Stati Uniti, dove queste varietà sono autorizzate ad entrare nella tutela delle denominazioni di origine.

 

Perchè ho deciso di accettare questa sfida?

Nel febbraio 2016, come vi ho già accennato, ho piantato 1,30 ha di Sauvignon Kretos e quest’anno ci sarà la prima vendemmia delle sue particolarissime uve.


 

Onestamente, non sappiamo ancora se questo test sarà un successo.

Se da un parte possiamo affermare che dal 2016 non abbiamo fatto nessun tipo di trattamento (nemmeno la copertura in rame), riuscendo così a fare un ulteriore passo avanti nella tutela dell’ambiente, dall’altra, la qualità finale del vino prodotto dal Kretos rimane per il momento una grande incognita.

In ogni caso, sento che possiamo (e dobbiamo) provarci.

Dobbiamo provarci perché ci crediamo e perché è il naturale passo successivo da fare visto che ormai il nostro vigneto è stato totalmente convertito a BIO.

Per noi il biologico non è un traguardo, ma una fase di passaggio: l’obiettivo finale deve rimanere la sostenibilità totale!

Devo dire però di avere un buon presentimento: il vigneto di Sauvignon Kretos è sano, e io credo che una vite sana non potrà far altro che dare buoni risultati.

Penso che questo tipo di vitigni sia la prima vera avanguardia del biologico di domani, in quanto, appunto, non richiede nessun tipo di trattamento.

Capisci di che potenziale salto in avanti  si tratta?

Se ogni vigneto fosse composto da vitigni resistenti si andrebbe incontro alla sostenibilità totale, con benefici per la natura e tutti i suoi abitanti.

Ormai tutti parlano di cominciare a convertire i  vigneti della mia zona per produrre Prosecco biologico. Noi l’abbiamo già fatto. Chissà se prima o poi riusciremo ad avere anche una vigna di Prosecco biologico composto pure al 100% da viti della tipologia simile a quella del Kretos!

La sperimentazione della nascita di autoctoni resistenti come l’uva Glera, il vitigno del Prosecco, appunto, è già iniziata con la creazione di un laboratorio da 4 milioni di euro.

Ti sembra un’utopia? Io lo chiamo futuro!

 

Happy Farmer

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